CORRIERE DEL ARTE 2008

50 anni fondazione DARS Settembre 2009 MILANO Società Umanitaria Mappe d’Artista 1959-2009.

Attività, cervello, sogni e festa nell’arte. Se la terra ed suo variegato colore rimandano a ciò che è puro, incontaminato; la mostra Mappe d’Artista 1959-2009 è una zolla di terra in una città d’asfalto, si stacca dalla caotica Milano emergendo nel chiostro della Società Umanitaria come un’isoletta nell’assente mare della capitale lombarda. Ogni opera ha quello spazio vitale che, ahimè, manca ai cittadini milanesi. Nell’esprimere il contrasto tra Mappe d’Artista 1959-2009 e la città di Milano, ho usufruito dell’accezione positiva del termine “terra” per qualificare la mostra. Nell’opera di Hélène Foata la terra, superficie emersa dagli oceani, perde la propria natura di terra, intesa come elemento denotante purezza ed incontaminazione. L’artista presenta il globo terrestre, appiattito come quelle cartine che ci facevano studiare a scuola per le lezioni di geografia. Hélène Foata mantiene solo la forma dei continenti, i loro perimetri, andando a cancellarne l’aspetto materiale di “continenti terrestri”, soffocandone il colore sotto schede-madri, prelevate da computer, nelle quali i metallici microchip recitano il ruolo di luci della città. Resta solo la base originaria della Terra, una sorta di impalcatura sulla quale poggiano le architetture del terzo millennio. Il vento dei secoli ha spazzato via terricci e sabbie, lasciando posto alla tecnologia, all’informatica, ai territori di Matrix e Blade Runner. E l’acqua? Hélène Foata incolla i “continenti-schede madri” su uno specchio, sugli oceani, costringendo l’osservatore a sentirsi coinvolto nel destino del proprio pianeta. Un’opera in divenire, diversa per ogni singolo osservatore. Il pianeta come un mosaico di microchip e, sullo sfondo, la propria immagine, il proprio esame di coscienza. Un richiamo a sentirsi impegnato per migliorare il pianeta, a sentirsi dentro l’opera e, quindi, abitante di una terra sommersa di microchip. Non per forza l’abbinamento “propria immagine-pianeta” suggerisce ad attivarsi per cambiare la situazione attuale: a qualcuno potrebbe anche piacere l’abbinamento di se stessi con queste schede madri. Ciò che l’opera sembrerebbe dirci non è tanto “cambia il tuo pianeta, miglioralo!”; bensì, “sentiti parte del tuo mondo, scollati da quel passivo secondo piano!”. L’iniziativa ed il non-vivere passivamente sono presenti persino nella strutturazione di Mappe d’Artista 1959-2009. Non c’è un punto di partenza. Non c’è un arrivo. I visitatori sono chiamati a scegliere da quale opera iniziare e con quale opera terminare il proprio percorso. È aperta la caccia alla passività. La consapevolezza di esserci e di voler esserci, di non essere per caso su questo pianeta, di vivere la vita e non lasciarsi vivere da essa. Tutto ciò è al centro della mostra. La mente dell’uomo, l’intelligenza, il ragionamento su come interagire meglio col mondo. Il cervello che emerge da Testa di Pietro Giromini, creatura plastica che ricorda fortemente il Ritratto di Picasso dipinto da Salvador Dalì nel 1947. Se il quadro di Dalì, però, metteva in risalto la bruttezza dell’uomo Picasso in relazione al suo cervello, o meglio, alle sue convinzioni politiche; Testa di Giromini crea una connessione tra un volto bello, forse femminile o fanciullesco, ed il cervello, la parte pensante ed intelligente dell’uomo. Affettando un cranio umano, l’artista connette la bellezza di un viso con il cervello. La bellezza e le cose belle sono figlie del buon pensiero, dell’attività cerebrale. Così continua a srotolarsi il filo rosso della mostra: per opporsi alla passività della vita e per scollarsi da un inanimato secondo piano, nel quale siamo costretti a vederci nell’opera di Hélène Foata, è necessario attivare il cervello, unica fonte della bellezza umana. Tornando all’opera di Foata, per coloro ai quali non piacesse l’abbinamento della propria immagine con le terre emerse ricoperte da schede madri, si potrebbe affermare che per ridare bellezza al pianeta bisogna ricorrere alla parte più bella dell’uomo. Bisogna ricordarsi di avere un cervello che può aiutarci a non vivere una vita da semplici spettatori, bensì da attori protagonisti che calcano la scena. “Attività” e “consapevolezza di aver un cervello utilizzabile” sono i due elementi emersi dalle due opere prese in esame. A queste opporrei il quadro di Massimiliano Miazzo: Clessidra umana mezzo di trasporto e forziere dei sogni. Questo dipinto si pone quasi come un campanello d’allarme, come un avvertimento. Il titolo, piuttosto didascalico, aiuta nell’interpretazione. Pare impossibile non rifarsi alla psicanalisi ed alla distinzione freudiana tra conscio ed insconscio. L’uomo come una clessidra umana, nella quale vi è il tempo della vita vissuta consapevolmente ed il tempo, lo spazio, per il mondo dei sogni. Semplificando la materia, l’alternarsi di queste due fasi, che vorrei quasi chiamare “spazi”, costituisce la vita interiore di ogni essere umano. Di giorno viviamo la nostra vita razionale e di notte, nel sonno, concediamo spazio alla nostra parte irrazionale, all’onirico ed ai nostri desideri inespressi, all’insconscio. Riallacciandomi alle tematiche affrontate attraverso le opere di Foata e Giromini, il malaticcio corpo umano al centro del quadro, una specie di Cristo crocifisso senza croce, è l’immagine dell’uomo che reprime se stesso, che non vive, che tiene le sue idee ed i suoi sogni chiusi in un forziere. È la morte di qualcuno che non ha dato nulla. Qualcuno che è stato se stesso solo di notte, nelle ore del sonno, senza apportare nulla al mondo ospitante. Credo sia importante che iniziative quali Mappe d’Artista 1959-2009 non si spengano nell’inconscio delle città ma, in antitesi al soggetto raffigurato da Miazzo, camminino da bocca ad orecchio, diventando pedoni delle strade. Se Foata “implorava” l’attività umana intesa come non-passività e se Giromini elogiava il cervello umano; Miazzo mostra un uomo sfregiato dal non aver espresso la propria vita interiore. Un primo piano di un uomo mummificato dai propri fasci muscolari. Ma Mappe d’Artista 1959-2009 è anche una festa. Gli organizzatori, come inservienti dietro ad un buffet, ospitano il pubblico. I quadri e le sculture sono deliziose cibarie da degustare passeggiando per il chiostro della Società Umanitaria. Una manifestazione di questo tipo è anche un momento di gioia, come una gara ciclistica. Come i Ciclisti di Ugo Nespolo. Movimento di masse gioiose che accorrono a tifare il proprio beniamino, cavaliere in bicicletta. Richiamo a scendere in piazza per assistere all’arrivo dei gareggianti. L’augurio è che le persone si sentano sempre più chiamate a partecipare all’arte. Che l’arte riesca sempre di più a smuovere la gente dalle poltrone. Come ad una gara ciclistica, il popolo, le gente comune e non, tutti radunati attorno ad una mostra, come fosse un evento sportivo. Una festa con i colori del quadro di Miazzo, dove movimento e gioia impregnano la tela. Magari è solo un’utopia. Di sicuro Mappe d’Artista 1959-2009 è un primo passo lungo questo cammino, forse senza fine. Una tappa ciclistica verso il tentativo di diminuire la distanza tra le gente e l’arte. Giordano Bernacchini CORRIERE DEL ARTE DEL 23 SETTEMBRE